Perquisizioni alla Chimet, aperta una nuova indagine sui rifiuti
Secondo l'accusa quegli scarti di lavorazione sarebbero stati smaltiti irregolarmente, dovendo essere classificati come "pericolosi". La risposta dell'azienda: "Agito con correttezza, siamo sottoposti a continui e approfonditi controlli"
Perquisizione alla Chimet di Badia al Pino, il gigante del recupero di metalli preziosi in mano alla famiglia Squarcialupi. Sono stati i carabinieri del Noe di Firenze, il nucleo operativo ecologico, ad effettuare il blitz nella mattina di ieri, martedì 30 maggio. Si tratta di una nuova indagine, a margine dell'inchiesta del principale filone Keu che aveva già interessato i vertici Chimet e di cui era stata già data notizia lo scorso novembre. L'accusa, in quella circostanza, era stata di concorso in smaltimento illecito di rifiuti (assieme a Tca).
Quattro indagati, l'accusa sui "rifiuti pericolosi"
Anche stavolta al centro dell'inchiesta - che ha portato 4 vertici di Chimet sotto indagine - c'è la gestione di rifiuti, in particolare la classificazione degli scarti di lavorazione conferiti in un periodo temporale che abbraccia nove anni, dal 2012 al 2021. L'impianto utilizzato per lo smaltimento è collocato in provincia di Viterbo. E proprio la natura di questi rifiuti ha dato origine all'inchiesta e alla perquisizione di ieri. Secondo l'accusa, sostenuta dal Pm antimafia di Firenze Giulio Monferini, quei materiali sarebbero pericolosi e per questo da smaltire secondo adeguate procedure. Secondo l'azienda non sarebbero invece pericolosi.
La risposta di Chimet
La Chimet ha preso posizione rispetto alla nuova indagine, emettendo una breve nota in cui si sostiene che il rifiuto sarebbe stato conferito correttamente. "Si è trattato - spiega il comunicato Chimet a proposito del blitz di ieri - dell’ennesima verifica riguardante il codice attribuito al rifiuto risultante all’esito del processo di recupero dei metalli preziosi. Nello specifico, il controllo si è incentrato sul conferimento di tale rifiuto, ai fini del suo recupero, a un impianto del Viterbese che si è protratto, sotto il costante controllo di Arpa Toscana e Lazio, Regione Toscana e Regione Lazio, dal 2012 al 2021. L’azienda è fermamente convinta di aver sempre attribuito un corretto codice al rifiuto, in ciò confortata dai sistematici e approfonditi controlli cui è sempre stata sottoposta".